Carlo Molari, È l’amore la dinamica che spiega il fiorire della vita in Gesù fino alla resurrezione
Carlo Molari
Omelia integrale Veglia pasquale (2003)
Imparare ad amare al punto da saperne morire: attraversare la morte amando è il criterio della vita e della resurrezione, il fiorire della vita nuova cui siamo chiamati
Della tomba vuota sono state date molte spiegazioni, cominciando da quella degli anziani riferita da Matteo: i suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo (Mt 28,13). I discepoli, invece, erano chiusi all’interno del cenacolo pieni di paura perché pensavano “se hanno ucciso il Maestro dobbiamo stare bene attenti, certamente cercheranno anche i discepoli”. Le donne, però, erano uscite di casa perché agli occhi del sinedrio non avevano importanza come discepole, i maestri della Legge non avevano donne come discepole. Anzi, le donne non erano neppure obbligate ad andare alla sinagoga. C’era addirittura il detto di un rabbino del tempo di Gesù che diceva “se un marito racconta alla moglie le cose della Legge, è come se le dicesse cose sporche”. Le donne, quindi, sono uscite dal cenacolo sicure che nessuno si sarebbe interessato di loro.
Successivamente sono state date altre spiegazioni della tomba vuota. Per alcuni la morte di Gesù era apparente e quindi, durante la notte, era fuggito. Qualche secolo dopo sono sorte, anche all’interno delle stesse comunità cristiane, tradizioni secondo le quali Gesù era stato sostituito sulla croce dal Cireneo o da qualcun altro: sono le tradizioni riportate nel Corano, perché Maometto era venuto a contatto con alcuni cristiani eretici, forse doceti, che negavano la realtà del corpo umano di Gesù.
Il sepolcro vuoto, dunque, era un dato sconvolgente, suscitava paura: l’avevano sepolto lì e non c’era più.
L’atteggiamento nuovo cominciò con le apparizioni, cioè con le esperienze della presenza del Signore fatte dai discepoli – anzi, prima dalle donne e poi dai discepoli – in vario modo e in circostanze diverse. Vi ricordo che dobbiamo sempre distinguere tra la forma definitiva che Gesù ha raggiunto nella resurrezione e la forma che ha assunto nelle apparizioni. Le apparizioni sono adeguate alle capacità sensibili e conoscitive dei discepoli. Esse, quindi, non dicono nulla sullo stato definitivo di vita di Gesù, che non conosciamo. Non dobbiamo pensare che ora Gesù abbia le mani, la testa, i piedi. Questa non è la sua forma attuale di esistenza. Gesù, però, per rendersi visibile non poteva apparire ai loro occhi altro che nella forma precedente; non dobbiamo perciò identificare la forma delle apparizioni con la realtà della vita definitiva, che non conosciamo.
La resurrezione non riguarda il corpo di Gesù, ma consiste nel raggiungimento della forma definitiva di Vita che in Gesù è avvenuto in modo improvviso e dall’interno
Cos’è accaduto al corpo di Gesù nella resurrezione? Di per sé la trasformazione in energia, potremmo dire così, che si è realizzata del corpo di Gesù avviene anche per i nostri corpi quando moriamo. Solo che i nostri corpi richiedono abitualmente più tempo perché seguono le leggi normali della natura. Solo nella cremazione tutto avviene nel quarto d’ora in cui tutta la materia ritorna nel ciclo della creazione come energia e come ceneri. Anche per il corpo di Gesù è successa una trasformazione analoga, ma è avvenuta in un modo improvviso e dal di dentro. La resurrezione, tuttavia, non consiste nella trasformazione del corpo materiale di Gesù, bensì nel raggiungimento della forma definitiva di vita, che non possiamo descrivere perché non la conosciamo.
Possiamo però chiederci che valore ha avuto per Gesù l’esperienza della resurrezione e come egli l’abbia vissuta. Sul valore potremmo dire che la resurrezione mostra la verità del vangelo di Gesù, nel senso che egli ha vissuto in modo da pervenire immediatamente alla forma definitiva di vita, a quello stadio al quale tutti noi siamo chiamati.
La domanda allora è: quale dinamica ha condotto Gesù alla resurrezione? Sappiamo, per esempio, che lungo i secoli alcuni hanno individuato la dinamica fondamentale nell’obbedienza di Gesù al volere di Dio, altri hanno sottolineato la capacità di portare la sofferenza. Queste interpretazioni sono insufficienti, parziali. Anzi, in un certo senso falsanti: l’obbedienza di Gesù al volere di Dio non è consistita, di per sé, nell’affrontare la morte e Gesù non è risorto perché ha sofferto. Di per sé, la morte violenta di Gesù è contraria al volere di Dio, è conseguenza del peccato degli uomini che hanno rifiutato il suo messaggio, è risultato del compromesso politico tra i sommi sacerdoti e Pilato, tra il potere religioso ebraico e il potere militare e politico dei Romani. D’altra parte, uno potrebbe anche soffrire e morire disperato, non assecondando quella spinta che conduce alla vita definitiva. Per cui la sofferenza non spiega la resurrezione.
«Li amò fino alla fine.» In Gesù l’amore misericordioso del Padre ha raggiunto il limite dell’umanamente possibile, per cui in lui la vita è fiorita in forma eccelsa e sublime.
È l’amore la dinamica che spiega il fiorire della vita in Gesù fino alla resurrezione. Su questo i Vangeli sono chiarissimi. Ricordate come Giovanni inizia il racconto della passione e della morte di Gesù: avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò fino alla fine (Gv 13,1), fino alle estreme possibilità umane, fino ai confini ultimi dell’umanità. Nell’inno cristologico riportato da Paolo nella Lettera ai Filippesi ciò è espresso col termine dell’obbedienza, dell’ascolto della Parola di Dio: Gesù umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome (Fil 2,8-9). Sono due formule diverse, ma traducono lo stesso atteggiamento. Potremmo dire che Gesù, durante la sua esistenza, ha accolto in modo così fedele l’azione di Dio, la sua parola, da farla fiorire in una forma eccelsa e sublime di amore. È questa forza di amore che ha fatto fiorire la vita nel luogo della morte, è questa fedeltà vissuta drammaticamente nell’agonia e sulla croce che ha reso Gesù Messia e Signore.
Io credo che il tormento di Gesù sia stato anche il dubbio di poter riuscire ad amare fino a questo grado estremo e certamente, prima della passione, si è interrogato.
“Sarà possibile continuare ad amare anche in mezzo a tormenti atroci? Sarà possibile perdonare? Sarà possibile rivelare la misericordia di Dio?”
Di fatto è stato possibile perché Gesù si è abbandonato con tale fiducia alla parola del Padre affidandosi senza riserve al suo amore da poterlo esprimere anche sulla croce. E l’energia espressa è stata tale che dove era la morte è scoppiata la vita.
Noi diciamo che ciò è avvenuto dopo tre giorni, ma in realtà è sulla croce che Gesù è giunto alla pienezza di vita della resurrezione. Per questo Giovanni pone lì la sua gloria quando presenta la croce come un innalzamento, una glorificazione. Non è la gloria della sofferenza, è la gloria di chi ha imparato ad amare al punto da saperne morire, da attraversare la morte amando.
L’amore fino alla morte è il criterio fondamentale di vita e Gesù l’ha offerto agli uomini sulla croce; l’attraversamento della morte, la resurrezione, ne è il compimento
Questo è il criterio fondamentale che Gesù ha offerto agli uomini sulla croce e che ha mostrato risorgendo. Se non ci fosse stata la resurrezione nessuno avrebbe potuto capire che l’amore fino alla morte è un criterio di vita, è una legge fondamentale della salvezza. I discepoli non lo avevano capito quando Gesù lo aveva proclamato, quando aveva chiesto di amare i nemici, quando aveva chiesto di perdonare settanta volte sette. Non l’avevano creduto. Chi dei discepoli avrebbe creduto a Gesù se non avesse visto fiorire la vita nel luogo della morte per la fedeltà al vangelo che egli aveva annunciato? Nessuno l’avrebbe creduto.
Noi ancora oggi dobbiamo interrogarci su chi di noi ha accettato veramente il vangelo dell’amore. Chi di noi è veramente convinto, in senso vitale, che l’amore è la legge della vita? Ci sono tante situazioni della nostra esistenza in cui noi sconfessiamo questa verità del vangelo. Non solo perché siamo deboli e non riusciamo a essere fedeli al vangelo, bensì proprio perché non abbiamo creduto ancora al vangelo, lo consideriamo come un’utopia, come un traguardo finale che può valere solo per certe situazioni, per certe persone, ma non come una legge universale di vita che deve tradursi in decisioni sociali, in rapporti tra i popoli, in scelte di giustizia. Chi decide la guerra, per esempio, o programma lucidamente la morte di molte persone per difendere interessi particolari, come può credere veramente che l’amore sia la legge della vita? Che valga la pena amare sempre e che tutte le scelte contrarie all’amore diffondono dinamiche di morte?
Per questo celebrare la resurrezione del Signore significa rinnovare il nostro impegno di riflessione, di preghiera, per penetrare all’interno della vita di Gesù, per capirne il valore di salvezza e diventarne testimoni. Annunciare la resurrezione non significa ripetere Gesù è risorto. È molto facile dirlo. Annunciare la resurrezione significa mostrare nella propria vita che la legge dello sviluppo della persona, il criterio del rapporto tra i popoli, la dinamica fondamentale dell’evoluzione della specie umana è l’amore portato avanti senza riserve, anche nelle estreme situazioni di sofferenza, di violenza e di morte.
Alcuni santi sono riusciti a esserne testimoni, ma sono riusciti perché avevano un ambiente, un clima, una comunità. Noi, quindi, possiamo almeno dare questo contributo: costituire delle comunità, delle famiglie, degli ambienti in cui si esprima questa dinamica di vita che in alcuni potrà giungere a quella espressione suprema che in Gesù ha avuto il suo paradigma ultimo, per cui è stato costituito giudice dei vivi e dei morti, Messia e Signore per noi.